La normativa di riferimento in materia di sterilizzazione di rifiuti ospedalieri

L’installazione di macchinari per la sterilizzazione di rifiuti sanitari potenzialmente infetti, a livello normativo, trova le sue linee guida all’interno del Decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n. 254, in quanto norma di riferimento per i rifiuti classificati come rifiuti sanitari, così come da indicazioni del Decreto Legislativo 152 del 3 aprile 2006 Parte IV, art. 277 comma 1. 

Secondo la norma tecnica di riferimento UNI 10384, l’impianto di sterilizzazione deve essere esclusivamente dedicato ai rifiuti a rischio infettivo (CER 18.01.03 – CER 18.02.02) prodotti dalla struttura sanitaria in cui risulta installato. L’impianto di sterilizzazione non necessita autorizzazione, ma il responsabile deve dare comunicazione preventiva alle PPAA di riferimento ai fini dell’effettuazione dei controlli periodici e di convalida dell’impianto. 

Il rifiuto inizialmente “classificato” con codice CER 18.01.03, in seguito al processo di sterilizzazione diventa un materiale inerte classificabile con codice CER 20.03.01 “Rifiuti Urbani Indifferenziati” come indicato dall’art. 9 comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n 254.

La legge n. 40/2020, di conversione del c.d. decreto 23/2020, contiene all’art. 30 bis (rubricato “Norme in materia di rifiuti sanitari”) la previsione ai sensi della quale “…omissis, i rifiuti sanitari a solo rischio infettivo assoggettati a procedimento di sterilizzazione, effettuato secondo le previsioni dell’articolo 2, comma 1, lettera m), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n. 254, presso le strutture sanitarie pubbliche e private ai sensi dell’articolo 7, comma 2, del citato regolamento, sono sottoposti al regime giuridico dei rifiuti urbani”.

Con la legge dell’11 settembre 2020, n. 120, di conversione del DL 16 luglio 2020, n. 76 è stata confermata nell’art. 63-bis la gestione come rifiuti urbani dei rifiuti sanitari a solo rischio infettivo assoggettati a procedimento di sterilizzazione presso le strutture sanitarie, ex art. 7, comma 2, DPR 254/03, eliminandone quindi il (previgente) carattere di temporaneità.

In base alla novella legislativa, dunque se prima della modifica legislativa, tutti i rifiuti sanitari sterilizzati in impianti interni al perimetro della struttura sanitaria (ex art. 7, comma 2, DPR 254), per poter essere sottoposti al regime giuridico e alle norme tecniche che disciplinano la gestione dei rifiuti urbani dovevano essere previamente a questi assimilati  (tanto che in assenza di assimilazione la disciplina applicabile rimaneva quella di rifiuto speciale combustibile con CER 19 12 10 ex. art. 9, comma 4, DPR 254) – oggi quelli sterilizzati in situ godono del medesimo regime giuridico degli urbani, potendo essere per cui conferiti nel circuito della frazione indifferenziata dei RSU.

Il d.lgs. n. 116/2020, attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (GU n.226 del 11.09.2020), riscrivendo gli artt. 183 e 184 del D.lgs 152/2006, relativi, alla classificazione dei rifiuti, ha inoltre apportato modifiche alla definizione di rifiuto urbano, eliminando, tra l’altro, la categoria dei rifiuti speciali assimilati agli urbani abrogando di fatto, dal primo gennaio 2021, il potere di assimilazione dei Comuni.

L’aggiornamento del DPR 254/03 risulta per cui totalmente in linea con la modifica dell’art. 183 del TUA

Bilancio di Sostenibilità

Secondo quanto emanato dalla Direttiva UE 2022/2464 pubblicata il 16 dicembre 2022, che va a rivedere e modificare la precedente Direttiva UE 2013/34, relativa all’obbligo di “comunicazioni di informazioni di carattere non finanziario” da parte di aziende di grandi dimensioni. La Direttiva ha un impatto notevole: ad oggi, in Italia, sono circa 300 le aziende che pubblicano i propri bilanci di sostenibilità; si tratta di aziende quotate in borsa o di interesse pubblico. Tuttavia, propria a causa della nuova Direttiva UE, il numero di aziende impattate aumenterà notevolmente.

Chi è obbligato a redigere bilancio di sostenibilità?

Ad oggi, solo società quotate ed enti pubblici. Tuttavia, l’obbligatorietà di redigerlo scatterà il 1° gennaio 2026 e riguarderà tutte le aziende con più di 250 dipendenti, un fatturato superiore ai 50 milioni di euro e un bilancio annuo pari almeno a 43 milioni, predisponendo la rendicontazione societaria di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD).
La Direttiva ha come obiettivo quello di dare una maggiore rilevanza ai temi ESG, imponendone la rendicontazione all’interno della relazione finanziaria annuale, eliminando la possibilità di pubblicare tali dati in una relazione separata. Inoltre, viene richiesto che la rendicontazione sia fornita in formato digitale XHTML e che prima della pubblicazione, questa sia sottoposta ad assurance; rafforzandone l’attendibilità, in maniera similare a quanto accade con la revisione dei bilanci economico-finanziari di esercizio.

Nel dettaglio, il bilancio di sostenibilità, dovrà contenere informazioni su:

  • modello di business e strategie aziendali in materia di sostenibilità;
  • ruolo assunto dagli organi di amministrazione relativamente alla governance dei temi ESG;
  • rapporti con gli stakeholders ed impatto di questi in ambito di sostenibilità;
  • criteri e approcci utilizzati nella gestione dei rischi;
  • descrizione della due diligence in tema ESG;
  • utilizzo di standard di rendicontazione europei uguali per tutte le aziende in funzione della grandezza e del fatturato.

Il tema della sostenibilità, oltre che un obbligo di legge è fondamentale per il consolidamento della Green Reputation dell’azienda e per garantire una gestione sana e sostenibile dei processi aziendali.